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Il Fegato Grasso

da | Feb 16, 2024

Di Andrea Perugini

Articolo originale su UP SALUTE a questo link

Avete presente il fois gras? La prelibatezza tipica della cucina francese tanto costosa e ricercata?
Beh per chi non lo sapesse si tratta del fegato delle oche messe all’ingrasso dalla nascita, per cui l’organo aumenta di volume incrementando a dismisura la sua componente lipidica.
Il punto è che, finchè il fegato non supera certe dimensioni, l’animale non ha sintomi particolari… e la stessa cosa può capitare agli esseri umani!
Sapevate che circa il 30% della popolazione generale (quindi anche i magri!) ha un accumulo di trigliceridi negli epatociti (cellule epatiche) tale da costituire il 5-10% del peso dell’organo? E che questa percentuale sale dal 54% fino al 90% nelle persone obese (BMI>30)?

La fisiopatologia del fegato grasso comporta l'accumulo di grassi (steatosi) nel fegato, la flogosi, e, variabilmente, la fibrosi. La steatosi è dovuta a un accumulo di trigliceridi nel fegato. Tra i possibili meccanismi per la steatosi ci sono la ridotta sintesi di lipoproteine a densità molto bassa (VLDL) e un'aumentata sintesi epatica di trigliceridi (probabilmente per una ridotta ossidazione degli acidi grassi o un aumento degli acidi grassi liberi che vengono portati al fegato). L'infiammazione può essere provocata dal danno causato alle membrane cellulari dalla perossidazione lipidica.

Chiediamoci allora: ma perché il fegato “ingrassa”? E quali conseguenze comporta questa condizione?
Il perché è dato in primis da fattori esterni come la sedentarietà e una dieta sregolata (eccesso di cibi grassi, alcool, dolci, apericene…), il fumo di sigaretta, l’uso di alcuni farmaci (es: steroidi), e poi da fattori endogeni di componente genetica; tutti portano nel corso del tempo a sviluppare i seguenti fattori di rischio cardiovascolare:

fegato grasso 2024
  • sovrappeso e obesità
  • Sindrome metabolica
  • Insulino-resistenza
  • diabete
  • ipertrigliceridemia
  • ipercolesterolemia
  • ipertensione
  • Ipotiroidismo

In pratica tutto ciò che va ad alterare il normale e fisiologico metabolismo glicidico e lipidico porta progressivamente ad uno stato di stress ossidativo, e quindi d’infiammazione, sempre maggiore che colpisce più o meno approfonditamente tutti gli organi del nostro organismo tra cui il cuore, i vasi sanguigni e, in particolare, il fegato che è il nostro laboratorio biochimico.


La steatosi epatica non alcolica, detta anche NAFLD (non-alcoholic Fatty Leaver Disease) o più recentemente MASLD (Methabolic dysfunction- Associated Steatohepatitis Leaver Desease), costituisce un enorme pericolo per la salute, poiché si associa a un rischio aumentato di insufficienza renale e, soprattutto, insufficienza epatica cronica.
Nel “Mondo Occidentale” è sempre più diffusa e figura come la più comune epatopatia cronica e la principale causa di insufficienza cronica del fegato (più delle epatiti e della cirrosi da alcool).
In genere la NAFLD, o MASLD, colpisce persone presentanti uno o più dei fattori di rischio sopra elencati, ma è doveroso ricordare che la malattia colpisce il 30% della popolazione generale, come dicevamo all’inizio, e interessa quindi anche individui considerati non a rischio, ossia, anche soggetti normopeso, non diabetici, senza particolari alterazioni nei livelli ematici di colesterolo e trigliceridi o della pressione arteriosa.

Questa patologia può evolvere, diventando sempre più grave, in quattro stadi:

Steatosi semplice

È la fase iniziale della malattia, in cui l’accumulo extra di grasso negli epatociti non ha ancora recato danni importanti al fegato (NAFLD o MASLD). La steatosi semplice è purtroppo ASINTOMATICA!

Steatoepatite non alcolica

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Anche nota come NASH o MASH, questo stadio si caratterizza per l’infiammazione del fegato dovuta alla perossidazione dei lipidi in eccesso con produzione di radicali liberi; in questa fase, la malattia comincia a diventare grave e può presentare la seguente sintomatologia:

  • Epatomegalia (in circa il 75% dei pazienti)
  • Dolore sordo o malessere avvertito nella porzione superiore destra dell’addome
  • Debolezza e/o senso di spossatezza
  • Perdita di peso senza motivo apparente
  • Nausea e inappetenza

Fibrosi Epatica

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  • Il terzo stadio è il risultato dell’infiammazione persistente; la formazione di tessuto connettivo-fibroso compromette le funzioni del fegato. Quando il fegato sviluppa cirrosi, il quadro clinico peggiora ulteriormente e il paziente presenta anche:
  • Ittero
  • Ascite ed edema agli arti inferiori
  • Prurito cutaneo
  • Tendenza a emorragie e lividi
  • Dilatazione a ragnatela dei vasi sanguigni cutanei

Cirrosi epatica

È lo stadio finale, quello più grave, che si verifica dopo anni di infiammazione cronica; il fegato si impoverisce del parenchima (ossia il suo tessuto funzionale) ed è ricoperto da aree estese di tessuto fibroso non funzionale, che culmina nell’insufficienza epatica cronica e rappresenta un fattore di rischio per il cancro del fegato. Secondo alcune stime, il 5-12% dei casi di NASH/MASH sfocerebbe in cirrosi epatica.

Questo il quadro clinico, ma come facciamo ad accorgerci se siamo soggetti con NAFLD visto che è asintomatica, o addirittura se siamo in uno stadio già più avanzato?

Per la diagnosi differenziale, il medico necessita di rilevare nel paziente un’assunzione non eccessiva di alcol (p. es., < 20 g/die) con anamnesi confermata da amici e parenti, e dimostrare con i test sierologici l’assenza di epatite B e C.
Si fanno quindi test ematici per la quantificazione degli enzimi epatici (transaminasi ALT e AST, gamma GT, fosfatasi alcalina), ma per distinguere la steatosi semplice (livello 1) dalla steatoepatite associata a disfunzione metabolica (Livello 2) può non essere sufficiente. Gli enzimi epatici elevati (AST/ALT, GGT), infatti, sono un campanello di allarme per la steatosi ma non sono un predittore sensibile per l’identificazione della steatoepatite. La presenza di sindrome metabolica, così come di ferritina elevata, aumenta la probabilità che un paziente abbia una steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH) piuttosto che una semplice steatosi.
Nell’epatopatia non alcolica, il rapporto tra aspartato aminotransferasi (AST)/alanina aminotransferasi (ALT) nella steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH) è solitamente < 1; la fosfatasi alcalina e la gamma-glutamil transpeptidasi (GGT) a volte sono aumentate e l’iperbilirubinemia, l’allungamento del tempo di protrombina e l’ipoalbuminemia sono rari.

Esistono inoltre sistemi di punteggio clinico come il FIB4, il MASLD fibrosis score calculator o il laboratory MASH FibroSure® score, che possono aiutare il medico ad identificare i pazienti a rischio di fibrosi e quindi quelli che hanno più probabilità di avere una steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH) ed essere quindi a rischio di progressione verso la cirrosi.
Gli esami di diagnostica per immagini del fegato, comprese l’ecografia, la TC e, soprattutto, la RM, possono identificare la steatosi epatica. Le misure non invasive di fibrosi come l’elastografia impulsionale (un test che utilizza sia ultrasuoni che onde elastiche a bassa frequenza), l’elastografia ad ultrasuoni o l’elastografia RM sono in grado di valutare la gravità della steatosi e anche di valutare la fibrosi, ovviando così, in molti casi, alla necessità di una biopsia epatica.
Le indicazioni alla biopsia comprendono i segni di ipertensione portale (p. es., la splenomegalia, la citopenia) e gli inspiegati aumenti sierici delle transaminasi che persistono per più di 6 mesi in un paziente con diabete, obesità o dislipidemia. Una biopsia epatica può mostrare lesioni simili a quelle osservate nell’epatite alcolica, comprese, in genere, le grosse gocce di grasso (infiltrazione macrovescicolare di grasso) così come fibrosi pericellulare o a rete.

Ma una volta effettuata la diagnosi, come ci si cura dal fegato grasso?

Chi soffre di steatosi epatica deve innanzitutto apportare delle modifiche al proprio stile di vita, quindi:

  • Praticare attività fisica con regolarità (almeno 150 minuti a settimana di esercizio a intensità moderata)
  • Perdere peso: perdere solo il 3-5% del peso corporeo può ridurre il grasso nel fegato; perdere il 7% può anche ridurre l’infiammazione. Se sei in sovrappeso o obeso, i medici in genere consigliano di perdere gradualmente dal 7 al 10 percento del peso corporeo nel corso di un anno. Adottare una dieta sana ed equilibrata aiuta nella perdita del peso e nel migliorare i livelli ematici di trigliceridi e colesterolo; va limitata l’assunzione di grassi saturi (che si trovano nella carne, nella pelle del pollame, nel burro, nel grasso, nel latte e nei latticini). Sostituendoli con grassi monoinsaturi (olio di oliva, colza e arachidi) e polinsaturi (mais, cartamo, oli di soia e molti tipi di noci). Particolarmente utili per ridurre le malattie cardiache sono gli acidi grassi omega-3, un tipo di grasso polinsaturo che si trova nel pesce azzurro come il salmone, l’olio di semi di lino e le noci.
  • Evitare/limitare il consumo di bevande alcoliche
  • Smettere di fumare
  • Controllare periodicamente i livelli di colesterolo HDL/LDL e glicemia (nel caso in cui fosse presente una condizione di diabete di tipo 2)
  • Sottoporsi regolarmente agli esami di funzionalità epatica, in modo da controllare l’andamento della patologia.

Vi chiederete a questo punto se, oltre ai sani comportamenti e allo stile di vita corretto, esistano dei farmaci specifici per il trattamento delle epatopatie.
Purtroppo ad oggi né FDA né EMA, e quindi tantomeno AIFA, hanno approvato alcun trattamento farmacologico per la NAFLD e/o la NASH; ci sono però alcune terapie emergenti ancora in fase di studio ma promettenti tra cui:

  • i recettori alfa attivati da proliferatori perossisomiali (PPAR-alfa),
  • i modulatori dell’agonista del recettore del peptide 1 simile al glucagone (GLP-1)
  • i ligandi del recettore farnesoide X (FXR).

Non esistendo farmaci specifici, ricordo però che un’ampia farmacopea per il trattamento della dislipidemia, dell’iperglicemia e dell’ipertensione è a disposizione dei medici che, in base alla situazione clinica di ogni singola persona, possono impostare la terapia più idonea, visto che il solo obiettivo ampiamente accettato del trattamento è l’eliminazione o quantomeno la riduzione dei fattori di rischio potenziali.

Esistono poi molte diverse molecole naturalmente presenti nell’organismo umano o nel cibo che assumiamo, che risultano utilissime per il corretto funzionamento del fegato e, se carenti, portano a gravi conseguenze; ne riporto alcune a titolo esemplificativo ma non esaustivo:

Lo Zinco: è un cofattore per numerosi enzimi che agiscono sul metabolismo lipidico, glucidico e proteico oltre che nella sintesi di DNA ed RNA; interviene nella sintesi dei fosfolipidi e quindi delle lipoproteine che trasportano il colesterolo. La sua carenza è spesso osservata nei pazienti con disfunzione epatica ed è stata vista una correlazione inversamente proporzionale tra i livelli sierici di zinco e la fibrosi epatica.

La Colina regola il metabolismo lipidico intraepatico, è coinvolta nel trasporto delle lipoproteine, e ha un effetto di riduzione delle gocce lipidiche.

Il Glutatione è un potente antiossidante a livello cellulare, è particolarmente concentrato a livello epatico ed ha un’azione specifica protettiva per le membrane mitocondriali, riduce le ALT, i trigliceridi e la Ferritina.

La Vitamina E può aiutare a correggere le anomalie biochimiche e istologiche della steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH), ma non migliora la fibrosi ed è controindicata nei pazienti con diabete.

Il Selenio è un oligoelemento che funge da cofattore del Glutatione.

La Silimarina è un complesso di Flavonolignani estratto dal Cardomariano (Silybum marianum) che ha effetti antiossidanti, antiinfiammatori e modulatori del metabolismo lipidico, con riduzione dell’accumulo di grasso epatico e riduzione delle transaminasi.

Il Rosmarino ha un’azione antiossidante che influisce sugli enzimi epatici.

La Curcuma che ha dimostrato sugli animali una riduzione delle goccioline lipidiche epatiche.

Anche un buon funzionamento del microbiota intestinale sembra essere correlato alla funzionalità epatica; influenza infatti il fabbisogno organico di colina e il funzionamento del sistema immunitario.

Ovviamente la decisione di iniziare un’integrazione alimentare va presa seguendo il consiglio del proprio medico di fiducia, dopo che è stata verificata la carenza di uno o più di questi elementi, e sotto il suo stretto controllo durante tutta la durata della terapia.

Si è stimato che il 10% dei pazienti con malattia epatica associata a disfunzione metabolica progredisca fino alla cirrosi in un periodo di 20 anni.
Beh, in conclusione direi che la buona notizia è proprio questa: nonostante l’ampia diffusione della steatosi epatica per arrivare allo stadio 4 ci vuole davvero molto, molto tempo… quindi mi raccomando: non facciamo come le oche! Siamo in tempo per salvare il nostro fegato prima che diventi… “fois grois”.


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