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La variante inglese del Coronavirus

da | Dic 22, 2020

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Cosa sappiamo:

  • Nelle ultime settimane in Gran Bretagna, soprattutto nel Sud Est dell’Inghilterra, si è assistito ad un aumento dei casi di Covid-19 (da 100 casi su 100.000 cittadini nella II settimana di ottobre a oltre 400 per 100.000 nella II settimana di dicembre).
  • Lo studio della sequenza del genoma virale ha dimostrato che oltre il 50% dei casi era causato da una variante chiamata SARS-CoV-2 VUI 202012/01 (Variant Under Investigation, year 2020, month 12, variant 01),  la cui comparsa in effetti era già stata registrata a fine settembre dai ricercatori (NB: il Regno Unito esegue il sequenziamento su circa il 10% dei campioni)
  • Non è tuttavia chiaro quale sia l’origine della variante, si ipotizza il ruolo di un ospite con infezione prolungata da SARS-CoV-2 nel quale il virus abbia potuto mutare in modo particolarmente veloce
  • Questa variante è già presente anche in Danimarca, Olanda, Belgio, Australia e, notizia molto recente, anche in Italia.

I virus mutano, è una loro caratteristica.

Le mutazioni in effetti sono eventi casuali che si verificano in tutte le cellule al momento della loro duplicazione, sono tentativi di trovare nuove sequenze di DNA che possano apportare elementi vantaggiosi ai viventi e quindi una migliore sopravvivenza. Sono insomma un passo fondamentale dell’evoluzione.

Semplificando, potremmo dire che virus, essendo organismi semplici, hanno più facilità a mutare e raggiungere prima queste nuove soluzioni che purtroppo, dovendo essere per loro vantaggiose, si traducono in una maggior aggressività, trasmissibilità e resistenza per infettare gli ospiti

“Studi precedenti hanno mostrato che la diffusione epidemica e pandemica può portare a selezionare mutazioni che modificano la patogenesi, la virulenza e la trasmissibilità del virus” scrive in un articolo sul NEJM Ralph S. Baric, della Gillings School of Global Public Health, alla University of North Carolina di Chapel Hill (Stati Uniti), descrivendo l’impatto clinico di una variante del nuovo coronavirus virus, caratterizzata dalla mutazione D614G a livello della proteina spike.

Emergence of a Highly Fit SARS-CoV-2 Variant | NEJM

Non tutte le mutazioni hanno effetti visibili tuttavia, alcune sono “silenti”:

“Sono già state identificate migliaia di mutazioni, la maggior parte delle quali non hanno effetti sul virus ma possono essere usate come una sorta di codice a barre per monitorare la diffusione e i focolai” dice Sharon Peacock, direttrice del COVID-19 Genomics UK (COG-UK) consortium, una collaborazione di 4 agenzie di sanità pubblica, il Wellcome Sanger Institute e 12 istituzioni accademiche.

Sono già  circa 4.000 le mutazioni note nella sola proteina spike e alcune quelle trovate nella “variante inglese” erano infatti già note e circolanti, anche al di fuori della Gran Bretagna, ma non tutte insieme in uno stesso virus.

Infatti, una delle caratteristiche principali del SARS-CoV-2 VUI 202012/01 è la presenza contemporanea di numerose mutazioni a livello della proteina spike:

  • delezione 69-70 (elusione della risposta immunitaria)
  • delezione 144
  • N501Y (aumenta la velocità di crescita del virus e la sua affinità con il recettore ACE2 sulle cellule umane)
  • A570D
  • D614G (effetto moderato di incremento della trasmissibilità)
  • P681H
  • T716I
  • S982A
  • D1118
  • altre mutazioni in diverse regioni del genoma virale

In totale, 23 mutazioni.

Che conseguenze

Certamente il fattore rilevante è l’aumento della trasmissibilità di cui sembra capace la nuova variante, si stima un incremento di infettività del 70% (All’inizio di novembre era responsabile del 28% infezioni rilevate a Londra e nella settimana terminata il 9 dicembre la percentuale era salita al 62%). Questo pone seri problemi nel contenimento della pandemia.

Una nota cautamente positiva è data dal fatto che il SARS-CoV-2 VUI 202012/01, sebbene più virulento, non sembrerebbe più patogeno: “Non ci sono al momento dati che facciano pensare che la nuova variante causi una malattia diversa da quella finora nota” spiega Peter Openshaw, past-President della British Society for Immunology e Professore di Medicina Sperimentale all’Imperial College di Londra.

Le mutazioni potrebbero peggiorare la capacità di diagnosi, nel caso che i test fossero mirati al riconoscimento di una regione virale che è appunto “mutata”. Accade cosi per i test di RT-PCR sul gene S, interessato dalla delezione 69-70. Fortunatamente, la maggior parte dei test sono progettati sul riconoscimento di più geni, pertanto i risultati combinati continuano ad essere affidabili.

Anche i vaccini messi sinora a punto potrebbero rivelarsi inefficaci? A questo per ora non si può dare risposta definitiva. La proteina spike, quella interessata dalle numerose mutazioni, è in effetti il target dei vaccini, tuttavia al momento, secondo gli esperti è poco probabile che le mutazioni identificate siano sufficienti a vanificare l’effetto della vaccinazione.

Che misure

Anche se i dati sono al momento preliminari, gli esperti sono concordi sulla necessità di metter in campo misure di prevenzione della diffusione piuttosto serrate e di tenere sotto stretto controllo epidemiologico la diffusione della nuova variante. Ritardare l’introduzione di misure restrittive mentre cerchiamo di ottenere nuovi dati sulla nuova variante potrebbe costar caro.

Il messaggio finale lanciato è dunque di non andare nel panico di fronte alla “variante inglese”, ma mantenere alto il livello di attenzione.